Ibérica è la newsletter di Roberta Cavaglià, giovanissima giornalista e content writer, che ogni settimana racconta una storia dal Portogallo o dalla Spagna. Solo sei mesi fa Roberta ha lanciato il primo numero della newsletter, raccontando la storia della grande campagna di rebranding nazionale iniziata dal Portogallo, che ne ha fatto la patria degli expat. Le newsletter hanno un taglio molto personale, e passano dall’approfondimento di attualità puro – come il focus sulle elezioni in Spagna – all’analisi di fenomeni di Internet come l’influencer della speculazione edilizia, fino ad arrivare alle interviste con ospiti speciali, come quella alla libraia dell’unica libreria italiana a Lisbona. Rassegna stampa, consigli di visione, di lettura e di esperienza hanno l’obiettivo di dare uno spaccato sulla cultura della penisola iberica, spesso in secondo piano nella copertura degli esteri dei media tradizionali. Eppure, ci suggerisce Roberta, la nostra storia e la nostra cultura sono così vicine a quelle di Spagna e Portogallo, che spesso gli spunti sono molti e il confronto può portare interessanti frutti.
La newsletter è un mezzo che si sta facendo nuovamente strada tra i tanti attraverso cui creiamo le nostre finestre sul mondo, quindi abbiamo parlato con Roberta Cavaglià di Ibérica e della possibile evoluzione delle newsletter nelle nostre vite.
Com’è nata la newsletter Ibérica?
Ho studiato traduzione e ho sempre scelto lingue di cui mi piacesse la cultura che c’è dietro. Tre anni fa ho cominciato a scrivere per delle riviste online, mi occupavo di storie di diritti umani, immigrazione, ma ero quasi sempre alla ricerca della notizia da raccontare, e questo non è molto sostenibile. Un annetto fa mi sono detta: posso usare la mia formazione per specializzarmi su quell’area. Il vero problema è stato che l’area del Portogallo e della Spagna non interessa molto, tanta parte dell’informazione che consumiamo quando parliamo di esteri viene dalle superpotenze: Cina, Stati Uniti, Europa in generale. Questo vale anche per i grandi progetti giornalistici, per fare un esempio: la newsletter e il podcast Da Costa a Costa di Francesco Costa sugli USA, oppure la newsletter Katane di Giulia Pompili sull’Asia.
Perché il pubblico italiano dovrebbe seguirla?
In realtà l’Italia e il sud dell’Europa hanno molti elementi in comune con la penisola iberica: per storia, cultura e religione sono molto simili. Guardando più da vicino, però, vedi che risolvono i problemi in modo molto diverso. Per esempio la Spagna ha un passato fascista e un’impostazione culturale cattolica, eppure è all’avanguardia nel riconoscimento dei diritti LGBTQIA+. Il Portogallo ha una legislazione sulle droghe molto progressista. È interessante confrontare paesi diversi e conoscere le diverse soluzioni applicate, per esempio per il regionalismo.
Perché hai scelto la newsletter come mezzo per trovare una tua nicchia?
Sono una grande consumatrice di newsletter, è un mezzo che conosco bene. Potevo pensare a un progetto new media solo sui social – come fanno Will Media, Factanza – però non mi piaceva lo stress dell’algoritmo. Cercavo qualcosa di più lento – anche se comunque è un appuntamento settimanale, quindi tanto lento non è, di sicuro non ha la velocità dei social.
Chi sono le persone che si iscrivono a Ibérica e perché non trovano quello che cercano nei media tradizionali?
A me piace fare approfondimento, partire magari da qualche spunto nell’attualità per andare più a fondo, e questo è qualcosa che un inviato di un media tradizionale raramente si può permettere. Mi sono fatta da subito la domanda su chi fosse il lettore potenziale della newsletter: ci sono gli italiani che vivono in Spagna e Portogallo e non conoscono la lingua, quindi non hanno accesso alle informazioni riguardo il paese in cui vivono oppure semplicemente cercano un punto di vista esterno; le persone che lavorano con Spagna e Portogallo e che quindi hanno un interesse professionale nel rimanere aggiornati; poi ci sono le persone che hanno avuto un contatto minimo – esempio tra tutti: l’Erasmus – e vogliono rimanere in contatto con quella cultura. Le persone cercano una selezione di contenuti, che le aiuti a vedere cosa è interessante.
Tu come fai questa selezione?
A mia volta seguo molte newsletter, seguo i principali quotidiani e anche dei progetti più di nicchia in lingua. Mi segno tutte le cose che mi interessano in maniera piuttosto caotica, e poi piano piano prendono forma nel corso della settimana. Poi ci sono le mie ossessioni personali, la mia scrittura nasce sempre da un mio interesse che penso possa interessare anche agli altri. Come nel caso della newsletter sui pattini, che sono una mia passione ma che trova riscontro anche con quello che sta accadendo a Barcellona. Oppure quella di un paesino di pescatori che è diventato la capitale del surf mondiale. Seguo storie che mi appassionano e credo che si veda poi nella cura e nell’approfondimento. A me piace anche aggiungere ulteriori contenuti che si possono leggere, ascoltare, per rendere autonomi i lettori. Vorrei che questa passione sia condivisa.
Segui un calendario editoriale?
Mi segno le date d’uscita su un calendario e lì mi segno eventi particolarmente importanti, oppure periodi dell’anno rilevanti. Oppure seguo quello che mi interessa, non mi preoccupo troppo dell’attualità perché penso che per quello ci siano altri canali.
Perché la newsletter è tornata così in auge secondo te?
Dopo tanta socialità su Internet sono tornati in voga mezzi più intimi, individuali, come la newsletter e il podcast. Dietro a questi mezzi c’è innanzitutto una scelta: se sui social l’algoritmo cerca di personalizzare cosa ti propone, ma alla fine fa quello che vuole lui nel tempo, quando ti iscrivi a una newsletter invece lasci un dato molto importante che è la tua mail. Così come quando ascolti un podcast: fai una scelta personale. Si vuole avere maggiore controllo sul consumo di informazioni e anche dell’intrattenimento. Nel futuro si va verso una saturazione, e lo vedo nella mia cartella di posta. Un collega giornalista di recente mi ha detto che, anche se apprezza tantissimo la mia newsletter, ha deciso di disiscriversi perché non ha ancora trovato un modo per leggere tutto quello che gli arriva nella posta e vuole fare una selezione di informazioni. Credo che si andrà sempre più verso una selezione e una scelta delle priorità, come sui social smettiamo di seguire persone che non ci interessano più. In futuro saremo sempre più esigenti.
Come è andato il tuo rapporto con il tuo pubblico? Hai riscontrato ciò che si dice, ovvero che si crei un rapporto più intimo con le persone che si iscrivono alla newsletter?
Sì, l’ho riscontrato. Diciamo che più tu chiedi più le persone ti rispondono, e questo succede per i commenti su qualsiasi altro mezzo, quindi bisogna imparare a chiedere, che si tratti di soldi per finanziare i progetti o di opinioni e punti di vista. Ho conosciuto diverse persone e avuto conversazioni a partire dalla newsletter. Vorrei ce ne fossero ancora di più e soprattutto mi piacerebbe che in futuro questa cosa superasse me. Vorrei che le persone che seguono la newsletter iniziassero a parlare tra di loro e incontrarsi, creando una piccola comunità a partire da una passione comune. Non ho ancora capito su che canale e come farlo, ci sono diverse opzioni (Whatsapp, i broadcast di Instagram, Telegram etc), però deve essere qualcosa di non molto invasivo nella vita di tutti i giorni, perché la cosa da tenere a mente è che le persone hanno un tempo limitato.
A livello di numeri hai raggiunto quello che ti eri prefissa?
Quello che mi aspettavo era che avrei lanciato il progetto e che inizialmente nessuno se ne sarebbe interessato. Immaginavo che vedendo i contenuti nel tempo si iscrivessero più persone. A me è successa una cosa particolare, ovvero che ho fatto un piccolo pre lancio dove ho annunciato la newsletter sui miei profili, e già da lì sono partita con una buona base di più di un centinaio di persone. Poi però ovviamente la spinta delle persone che mi conoscono nel tempo è andata esaurendosi, e quindi la curva è stata opposta rispetto a quella prevista. In generale in questo momento quello che sento di importante per il progetto è che superi me e la cerchia di persone che mi conoscono, e che vada verso una sfera sempre più ampia di interesse. Però per fare questo, ahimè, ci sarà bisogno dei social. Forse proverei con TikTok, perché mi piacerebbe imparare a montare i video e anche perché, a differenza di Instagram, è un social che sta andando bene.
Quali sono le strategie che hai messo a punto in questi primi sei mesi per garantire una sostenibilità economica al progetto?
Tempo fa avevo un progetto Instagram che gestivo insieme ad altre due persone. Siamo partite con l’idea di lanciare del merchandising ed è stato un vero flop. Quando invece abbiamo chiesto di sostenerci con una donazione, le persone erano paradossalmente più contente di donare non ricevendo nulla piuttosto che acquistare qualcosa. Ho preso questa esperienza e l’ho riportata su Ibérica, e quindi il mio meccanismo di sostenibilità economica finora è stato quello delle donazioni, che ti fanno capire quali sono gli argomenti che interessano di più, che vengono considerati rilevanti e per cui viene riconosciuto il mio lavoro.
Non è sostenibile sul lungo termine, non ripagando tutti i costi che io potrei calcolare in termini di impiego di tempo, quindi sto pensando a nuove soluzioni da provare. Ho avuto due newsletter sponsorizzate da un’azienda e non è un brutto percorso, però anche lì bisogna trovare qualcosa che sia coerente con il progetto. Non escludo l’idea che una parte dei contenuti di Iberica diventino a pagamento, ma al momento non è la mia preoccupazione principale.
Qual è la newsletter che ti è piaciuta di più scrivere fino ad adesso?
Uno dei motivi per cui ho lanciato Iberica è stato per scrivere della prima casa di riposo per anziani LGBTQ+ in Spagna. Purtroppo non è una storia da prima pagina, sia perché la casa di riposo non è ancora aperta, sia perché è all’intersezione tra due temi non particolarmente popolari – le persone anziane e la comunità LGBTQ+. Io la seguivo da due anni, e quando ho intervistato il fondatore della Fundación 26 de Diciembre è stato bello. Per me era una storia importante da raccontare, perché le comunità LGBTQ+, soprattutto quelle di un’altra generazione, sono molto marginalizzate. Era diventata un po’ una mia ossessione, ed è stato anche uno dei numeri che sono piaciuti di più, a riprova del fatto che l’interesse volendo c’è e che si può parlare anche di cose marginali e complesse se si trova il modo giusto per proporle.
Carlotta Centonze