Le anime indocili di Concorto Film Festival

Le anime indocili di Concorto Film Festival

Da sempre finestra-caleidoscopio sulle visioni più interessanti del panorama internazionale del cortometraggio, nonché cartina tornasole di un presente a tratti indecifrabile, Concorto Film Festival è protagonista della serata di martedì 23 aprile che chiude la terza stagione di INDOCILI, la rassegna organizzata da Associazione Tafano in collaborazione con Cinema Beltrade. 

Ad animare alle ore 20 le Chiacchiere da Bar, immancabile momento di incontro informale al Bar Rondò che precede le proiezioni, sarà la redazione di Scomodo, che si confronterà con Tafano sul tema degli spazi pubblici a Milano e del lavoro culturale che cerca di riappropriarsi degli stessi, costruendo nuove possibilità per i giovani. In questo senso, Concorto Film Festival rappresenta un baluardo del cinema indipendente in tutte le sue possibilità espressive, con una predilezione per le forme più libere ed indocili. Il cortometraggio, infatti, formato principe del Festival, rappresenta spesso il primo approccio dei filmmaker esordienti al linguaggio cinematografico, e nella sua natura – non solo per la brevità, ma anche per la difficoltà distributiva, che ne determina quindi la libertà espressiva – racchiude l’infinita possibilità immaginativa e di narrazione.

Dalla fiction all’animazione, dal documentario al cinema sperimentale, passando per il found footage: la selezione di corti proiettata al Cinema Beltrade alle 21:3027di Flóra Anna Buda (2023), Snow In September di Lkhagvadulam Purev-Ochir (2022), Uogos di Vytautas Katkus (2022), Ice Merchantsdi João Gonzalez (2022), La Herida Luminosa di Christian Avilés (2022) e Jill, Uncrediteddi Anthony Ing (2022) – rappresenta la più interessante offerta degli autori under35 presentati da Concorto Film Festival. 

Abbiamo incontrato Flóra Anna Buda e Anthony Ing per parlare insieme dei loro film dalla prima ispirazione, fino al processo creativo e della scrittura.

27 – Le ispirazioni oniriche di Flóra Anna Buda
Intervista a cura di Vanessa Mangiavacca

Nelle tue opere ci sono degli elementi che sono delle meravigliose costanti: il desiderio sessuale, l’esplorazione del proprio piacere e del proprio corpo, la natura e l’ecosistema animale, lo sconfinamento tra reale, surreale e onirico. Presenti già in Entropia, corto di diploma del 2020, emergono in maniera raffinata e ancora più strutturata nel tuo ultimo 27. Qual è il processo creativo che ti porta a immaginare queste dimensioni, questi portali che vai creando, e come l’animazione, per te che vieni dall’illustrazione, ti aiuta?

Grazie per questa domanda. Credo che ci sia sempre un’immagine nella mia testa, ma che il modo in cui l’intero processo artistico ha inizio resti invisibile. È una sfortuna, condivisa da molti artisti, che il processo creativo e soprattutto l’accendersi di questo processo siano del tutto invisibili il più delle volte, nonostante si tratti di un duro lavoro che impiega giorno e notte. A volte si lavora anche nel sonno. Naturalmente per me è un buon segno sognare il progetto, perché è in quel momento che sento di aver pensato e letto abbastanza a lungo sull’argomento e sull’universo del film, in modo che anche il mio subconscio possa iniziare il suo lavoro.  E queste due combinazioni sono di solito gli indicatori del processo di scrittura.

All’aspetto più trasognante di cui abbiamo parlato, legato all’immaginazione, se ne presenta un’altro, sociale e politico. È quello che personalmente ritengo più interessante e affascinante della tua narrazione: i viaggi che fai fare ai tuoi personaggi, a te stessa nel film, sfociano in una rappresentazione del sé che risulta completa proprio perché non si limita alla pura esplorazione intima, affettiva o famigliare. In Entropia a prendere forma è l’emergenza climatica, in 27 l’impossibilità di andare a vivere fuori casa o diventare economicamente autonomi nonostante gli sforzi. 

Questo è un’enorme problema della nostra generazione – parlo di chi ha 27-30 anni o poco più – e tu sei riuscita a trasmetterlo senza realizzare un’opera documentaria o di denuncia esplicita sul tema. L’abitare, l’indipendenza economica, sono problemi che condizionano l’esistenza, il proprio animo, la propria sessualità, i rapporti umani, la pace con se stesse: qui emerge con forza. Volevo chiederti una riflessione a riguardo, su questo tuo interesse a parlare dell’intimo ma senza mai tralasciare il mondo che muta attorno, con tutte le sue conseguenze.  

Credo di iniziare a prestare attenzione a un argomento o a un tema quando sento che risuona con me e se lo vedo nella mia vita personale o nel mio passato. Allora inizio a scrivere creando una fusione, tra una storia onesta da un lato, ma dall’altro una base supportata dalla ricerca che faccio prima della scrittura. È difficile per me rievocare i miei ricordi perché è uno stato mentale diverso, difficilmente riesco a connettermi alla realtà durante la creazione. Se dovessi descrivere questo processo, probabilmente lo paragonerei alla pesca delle perle. Ma il concetto deve essere abbastanza prezioso da farti immergere così in profondità con un solo respiro. 

La libertà di poter esprimere tutto quello di cui abbiamo parlato qui sopra è fondamentale. Nel momento storico in cui ci troviamo sono sempre più i segnali politici che cercano di condizionare l’espressione artistica. Vorrei chiederti, se ti va di rispondere, se e in che modo l’attuale situazione politica ungherese sta influenzando la libertà espressiva dei tuoi colleghi o colleghe o se ha mai compromesso la tua. Attualmente vivi in Francia, paese che presta molta attenzione all’animazione cinematografica – Miyu, Annecy e tante altre realtà ne sono l’esempio – e immagino la differenza sia davvero enorme, anche in relazione alla possibilità di accedere ai fondi di sviluppo.

È molto difficile esprimere certi messaggi in Ungheria in questo momento, ma anche progetti assolutamente “innocenti” non riescono a ricevere fondi. Mi sento fortunata che 27 sia stato realizzato in coproduzione con la Francia e che non abbia dovuto scendere a compromessi. È una posizione strana: sono ancora una cittadina ungherese anche se trascorro molto tempo in Francia. Non ho una carta d’identità, né una nazionalità o un indirizzo permanente in Francia. È un’interessante forma di vita ibrida che ha dei vantaggi, ma è anche difficile dire quale sia la mia vera appartenenza. In Francia la libertà di parola è più apprezzata e ci sono più istituzioni e sindacati che proteggono la libertà artistica e il diritto di creare, per non parlare della rete di sicurezza che protegge finanziariamente gli artisti. Ma è un caso unico, la maggior parte dei Paesi ha gli stessi problemi dell’Ungheria, se non addirittura peggiori, come gli Stati Uniti, dove i registi non hanno quasi nessuna opportunità di finanziamento per realizzare un cortometraggio d’animazione indipendente per adulti.

Ultima domanda, più leggera. Nelle tue opere lo spazio dedicato alla parola narrata è minimo, inesistente. Non ce n’è bisogno: tutto è già vibrante, estremamente simbolico e comunicativo, grazie all’immenso lavoro estetico, cromatico, sonoro e musicale. Puoi dirci qualcosa di queste dimensioni e quali sono i tuoi riferimenti, se ne hai? A me ricordano tanto Suzan Pitt! 

Grazie, è un piacere ricevere questo confronto così lusinghiero! 

La mia principale ispirazione visiva è stata The Million Dollar Hotel di Wim Wenders. Ho amato il modo drammatico in cui mostra questa giovane generazione perduta e mi ci sono sempre immedesimata da adolescente. È da allora che volevo creare le stesse atmosfere, calandole però nella vita di un personaggio adulto, ed è stata una grande fonte di ispirazione, per non parlare delle luci vivide della città e delle splendide riprese del tramonto e dell’alba! Le vibrazioni oniriche derivano dalla mia personalità in generale, credo, mi faccio influenzare dai miei sogni e per fortuna la maggior parte delle volte mi aiutano nel processo.

Jill, Uncredited – Riportare a galla il sommerso con Anthony Ing
Intervista a cura di Glesni Trefor Williams

Come è nato il progetto Jill, Uncredited?

Da tempo avevo l’idea di fare qualcosa su una comparsa, ma non riuscivo a trovare un modo per farlo. Poi, anni dopo, mi sono imbattuto in un forum online in cui le persone identificavano e parlavano delle comparse nel cinema britannico. Questo mi ha portato a Jill.

Hai lavorato con materiale d’archivio in passato?

Sì, molto del mio lavoro di regista e produttore ha coinvolto materiale d’archivio! Il mio primo film – Day After Day – era un film d’archivio composto interamente da film di Doris Day. 

Come hai trovato il lavoro con gli archivi, soprattutto di così tanti (!) film?

Straordinariamente lungo e noioso! Ma anche molto soddisfacente a volte. Non credo che affronterò mai più un compito del genere.

Il cortometraggio è una celebrazione della carriera cinematografica di una donna, una carriera ai margini che non ha mai raggiunto la celebrità, ma che ha sempre conquistato spazio. Cosa pensi della lunga carriera di Jill e della sua presentazione sullo schermo?

Jill ha avuto una carriera straordinaria perché poche comparse hanno lavorato così a lungo come lei. Questo la dice lunga sul suo approccio e sulla sua genuina mancanza di desiderio di essere un personaggio principale: sono questi gli elementi che la rendono un soggetto unico. È anche un’interprete meravigliosa e autentica. 

A cosa stai lavorando attualmente? Progetti futuri? 

Sto lavorando all’adattamento di un libro che ho raccolto in un negozio di beneficenza, un romanzo pubblicato negli anni Sessanta. È troppo presto per parlarne!

Per partecipare all’evento basta scrivere una mail a prenota@cinemabeltrade.net