LESSICO FAMIGLIARE – Intervista a Caterina Biasiucci e Lilian Sassanelli

LESSICO FAMIGLIARE – Intervista a Caterina Biasiucci e Lilian Sassanelli

Nel suo Lessico famigliare, Natalia Ginzburg scrive che «La quotidiana solitudine è l’unico mezzo che abbiamo di partecipare alla vita del prossimo, perduto e stretto in una solitudine uguale». È un passaggio paradossale, in un romanzo che parla di famiglia. La solitudine sembra un concetto distante dalla moltitudine di legami che compongono il tessuto familiare. Come interpretare, quindi, le parole di Ginzburg?

L’appuntamento del 5 marzo della rassegna Indocili, al Cinema Beltrade e in collaborazione con Sali e Tabacchi Journal, ha in programma due film, e due registe, che ci aiutano a dare una prospettiva all’intuizione di Lessico Famigliare. Si tratta di Caterina Biasiucci, che con il corto Il mare che non muore (2021) racconta un passaggio generazionale, una donna anziana che si tuffa nel mare per ritrovare se stessa bambina; e Lilian Sassanelli, che in Zweisamkeit (2022), ovvero Solitudine a due, documenta l’amore quotidiano tra i suoi nonni, fatto di abitudini, intimità, fantasmi del passato. Entrambe le visioni attingono alla memoria familiare, cercando nelle intercapedini del non detto e non conosciuto delle risposte che trascendano l’esperienza del singolo.

Il mare che non muore

Solitudine come ricerca

Ogni opera, anche documentaria, ci suggerisce Caterina Biasiucci «non si limita ad attestare qualcosa, è sempre una visione». L’altro, il rappresentato, diventa occasione per raccontare una storia, per indagare la propria esperienza in una sorta di incontro tra solitudini. Il mare che non muore, secondo questa prospettiva, è un ponte intergenerazionale, una trasmissione che avviene anche «quando i passaggi sono spezzati» ed è resa possibile dal racconto: «Il confronto con le generazioni di donne precedenti mi sembra che più si cresce più diventa importante. Sono le donne quelle che conservano i racconti familiari e li tramandano».

Anche Zweisamkeit è frutto di una visione, modellata da un’esigenza precisa: quella di capire «un amore antico, che fa parte di un mondo dove quando qualcosa è rotto, si aggiusta», per interpretare l’instabilità delle relazioni contemporanee. L’incontro tra solitudini è in questo caso duplice: la singolarità della regista incontra l’esperienza dei suoi nonni, i quali si accompagnano in una Solitudine a due: hanno due modi diversi di amare, «ogni singolo prova un tipo diverso di amore nei confronti dell’altro. Non più debole o più forte, ma diverso».

I movimenti della memoria 

Il mare che non muore nasce nell’ambito del premio Zavattini, con una ricerca che ha come fonte principale la Fondazione Archivio Home Movies. I materiali d’archivio sono riletti in chiave finzionale, dando corpo a un corto difficile da incasellare, che «da un lato è un documentario, fatto di diari e materiali d’archivio, ma dall’altro non lo è, perché è tutto risemantizzato, utilizzato in maniera diversa». Sulle immagini d’archivio, in effetti, è cucita una narrazione universale, che ha come cornice dei filmati girati sott’acqua e come linea principale una voce narrante. La memoria documentaria diventa una finzione, che però fa risuonare l’esperienza di ognuno.

Zweisamkeit utilizza invece il linguaggio dell’osservazione. Le fonti non sono immagini inermi, ma soggetti capaci di torcere la domanda di partenza attraverso reazioni, resistenze al passato. A maggior ragione quando a essere indagata è una storia d’amore lunga quarant’anni. Per Lilian Sassanelli «è stato un periodo intenso», soprattutto per sua nonna. «Ritirare fuori una serie di ricordi, amori, persone che hanno fatto parte del suo passato ha avuto un impatto forte». È stato quindi necessario avvicinarsi con cautela e rispetto dei confini, perché «stare a contatto così stretto con due persone nella loro casa, nella loro intimità, significa anche un po’ mettere da parte la propria».

Zweisamkeit

Diari, lettere dal passato 

Il passato irrompe nel presente delle registe tramite lettere, diari, annotazioni. Per Il mare che non muore, è stato un ritrovamento provvidenziale quello che ha fornito il materiale letterario della voce narrante. «Quando iniziai a scrivere il progetto non c’erano i diari, non li avevo mai letti» ci racconta Caterina Biasiucci «poi con mia madre troviamo in uno scatolone questi quaderni. Io pensavo a questa mia nonna che non ho mai conosciuto e i suoi diari erano molto belli, mi sembrava si avvicinassero alla storia che volevo raccontare».

Per Zweisamkeit, le lettere dei nonni sono state invece un punto di partenza. «Ho passato l’estate a leggere queste lettere e ho scelto quelle che mi interessavano di più per i temi che raccontavano. Sapevo che cosa volevo dal film» ci spiega Lilian Sassanelli. «È stato quasi un lavoro editoriale, perché dovevo prima capire la scrittura di nonno, capire come riuscire a leggerle queste lettere. E poi tagliare, prendere i pezzi che mi interessavano. Le lettere lette sono tutte composte da spezzoni di varie lettere». 

Sinestesie del ricordo

La memoria, memento proustiano, è stratificazione percettiva. E in effetti entrambe le registe lavorano sulla dimensione sinestetica delle loro opere. Ne Il mare che non muore, il lavoro sul suono è «un livello narrativo fondamentale» perché «gli archivi erano muti, era necessario risonorizzarli». Il corto è come se fosse un ricordo in cui «abbiamo cercato di non fare una ricostruzione sonora fedele, ma plausibile, con degli elementi discordanti». Anche la voce narrante è sospesa tra narrazione e memoria: la voce che legge i diari della nonna è quella della madre della regista, una voce calda, che rimarca il passaggio generazionale così come fa il mare, che risuona come un grembo materno e diventa colonna sonora di una conversazione a distanza tra donne di età diverse.

In Zweisamkeit, a giustapporsi al girato ci sono le fotografie: un elemento concreto, materico, che la regista ha scannerizzato dando vita a una sorta di archivio digitale per i suoi nonni. «Erano tantissime foto. C’è stato un lavoro di scannerizzazione lunghissimo, che ho fatto anche come regalo per loro», ci racconta. L’immagine del passato aiuta a interpretare il presente, lo stile di vita, i caratteri di queste due solitudini che si sono amate per una vita. Che, come il pulviscolo, ci sfuggono, per poi farsi riafferrare nella tenerezza dei piccoli gesti quotidiani.

Martina Peruzza

Per partecipare alla serata di Indocili è possibile prenotare un posto scrivendo a prenota@cinemabeltrade.net.