IDENTITÀ MAGMATICHE | Intervista a Simone Bozzelli e Saverio Cappiello

IDENTITÀ MAGMATICHE | Intervista a Simone Bozzelli e Saverio Cappiello

Contraddistinto da un florido germogliare di opere prime, l’anno appena trascorso si è rivelato particolarmente fortunato per il giovane cinema italiano. Tra le autrici e gli autori della nuova generazione, portatrice di linguaggi e significati inediti, ci sono Simone Bozzelli e Saverio Cappiello, esorditi al lungometraggio nel 2023 rispettivamente con Patagonia e  L’altra vita.

Nella serata del 20 febbraio i due autori saranno ospiti della rassegna Indocili, organizzata dall’associazione Tafano in collaborazione con il Cinema Beltrade di Milano, con l’obiettivo di promuovere giovani registe e registi di cinema indipendente italiano. L’evento,  in collaborazione con 77 magazine, prevede la proiezione dei loro progetti personali – i cortometraggi Amateur e Giochi, Mia Sorella e Faccia di cuscino. Simone mette in scena realtà quotidiane, cui dona verità e crudezza attraverso un linguaggio fatto di primi piani che si fanno al bisogno intimi o soffocanti. Saverio sa attendere, ponendosi al servizio dei moti – interiori ed esteriori – dei suoi interpreti.

Pur presentando diversi punti di contatto, la forma espressiva dei due autori si sviluppa in maniera del tutto originale. 

Il cinema del corpo e quello della contingenza
«Credo che la poetica, o comunque quello che si vede nel film di un regista, sia una sommatoria di tutto quello che gli piace» ha spiegato Simone, che è sempre stato attratto da un cinema in grado di scuoterlo, turbarlo, ferirlo «quasi fisicamente». Infatti, il suo lavoro è visibilmente influenzato dall’invasività delle dinamiche di potere raccontate da Fassbinder e le fisicità della fotografia erotica, di cui è grande appassionato. Dell’autore tedesco sembra recuperare la fragilità dei suoi protagonisti, come nel Diritto del più forte (1975), Martha (1974) e Le lacrime amare di Petra Von Kant (1972). 

Buona parte del cinema di Saverio, invece, è suggestionata dal linguaggio dei fratelli Dardenne della prima metà degli anni duemila – stilisticamente reconducibile a Rosetta (1999) o Il figlio (2002) – e «determinata dalle contingenze». L’ambiente, gli incontri, le condizioni nelle quali opera veicolano il suo bisogno di raccontare la realtà con gli strumenti che ha a disposizione, guidandolo verso una determinata forma. «Non mi piace definire un limite tra il genere fiction e documentario», ha aggiunto parlando del suo rapporto con la scrittura e con gli attori non professionisti. Ascrivibili alla cornice del cinema del reale, i lavori di Saverio e Simone sono caratterizzati da uno sguardo attentissimo alle complessità d’animo della generazione che tratteggiano. E questo si traduce in un lavoro minuzioso sugli interpreti, che dà vita a personaggi vivissimi, al tempo stesso fragili e ardenti.

Giochi, Simone Bozzelli, 2021

Attori non-attori

Una delle cose che più interessa a Saverio è che gli interpreti con cui sceglie di lavorare non abbiano alcun interesse a continuare a fare cinema. «Il risultato è che questo mi costringe a mettermi in una posizione difensiva piuttosto che offensiva», chiarisce, a porsi in ascolto degli attori e non viceversa. Ciò contribuisce a dare forma a un cinema quasi elusivo, che attraversa le vite dei suoi interpreti come «tre giorni di circo che arriva in città, un’esperienza stravagante e diversa» destinata, per forza di cose, a finire.
La propensione all’ascolto e alla scoperta guida anche le scelte di Simone, al quale molto spesso è capitato di fermare persone incontrate per strada per chiedergli un provino o un self-tape, con l’intenzione di approfondirne la conoscenza. In questa maniera si ritrova di frequente a lavorare, contemporaneamente, con attori professionisti e non professionisti. «Il professionista regala una struttura, il non professionista un intempismo, un inaspettato, che mette in crisi le strutture del professionista, ed è come se si schiudesse qualcosa di nuovo». Quest’inaspettato è per l’autore fondamentale, al punto da provocarlo innestando piccole rivalità tra gli interpreti al di fuori del set, per favorire la spontaneità dei conflitti in scena, «credo molto poco in quello che insegna una certa scuola di sceneggiatura, penso che l’importante sia quello che va dal ciak allo stop, quindi lavoro solo su quello».
Per entrambi, comunque, è fondamentale lasciare uno spazio all’imprevedibilità. Nel cinema di Saverio, ciò si concretizza nella scelta di «un regista in scena», ovvero un interprete che conosce il senso del film in maniera più profonda rispetto agli altri, che solitamente non è mai il protagonista, ma chi va invece a provocarne le reazioni.

Identità magmatiche e frammentate

Sia in Mia sorella che in Faccia di cuscino uno dei temi centrali è il rapporto tra l’individuo e il gruppo sociale, e quanto l’uno sia definito dall’altro nel contesto dei «momenti di passaggio», come quello tra l’infanzia e l’adolescenza, o tra quest’ultima e il mondo degli adulti. 

L’aspetto che più incuriosisce Saverio all’interno di queste dinamiche è quello identitario, motivo per cui sceglie di rappresentare identità frammentate, in opposizione a un’idea di presunta univocità dell’essere. «In realtà tu sei anche come le persone intorno ti disegnano, quello che mi interessa è proprio l’eterno confrontarsi di quello che tu pensi di essere e vuoi essere, con quello che gli altri pensano tu sia e debba essere».
Il tema dell’identità trova spazio, nel lavoro di Simone, nell’elemento del travestimento, presente soprattutto in Giochi. Un concetto incredibilmente queer: giocare con la propria identità per recuperare uno spazio sicuro, con regole differenti che esistono in quello spazio proprio perché quelle degli spazi “convenzionali” non vengano messe in discussione. Tramite il travestimento e il gioco, i suoi personaggi sperimentano l’essere qualcosa di altro da sé. «Trovavo interessante» dice Simone, «come attraverso questi giochi e quindi questa ritrovata libertà, queste persone scoprano un piacere, nel dominare o nell’essere sottomessi». Il potere si esercita in diverse forme, e l’interesse di Simone si lega anche alla sua rappresentazione: «voglio estremizzare queste dinamiche, portarle al limite, in modo tale che si vedano quasi chiaramente, e soprattutto che non si vedano sempre e soltanto con tuta di latex e frustino, ma magari con un gatto appeso per la collottola».

Faccia di cuscino, Saverio Cappiello, 2022

Mascolinità da distruggere

Dai quattro cortometraggi emerge un’idea di mascolinità fisica e talvolta violenta – che potremmo definire “tradizionale” -, messa in discussione dalla stessa indole dei personaggi. Interrogati su come il cinema possa contribuire a una ridefinizione dell’idea di mascolinità, Saverio confessa la difficoltà di esprimere a parole quello che è un concetto che sente di aver profondamente interiorizzato, come il resto della generazione di cui fa parte. Tramite il suo cinema, mette in atto la propria ridefinizione attraverso i contesti e i personaggi che sceglie di raccontare: «quello che rende più evidente lo smacco nei miei film è la presenza degli attori non professionisti, che molto solitamente provengono da ambienti di estrema periferia». Si tratta di ragazzi da sempre a contatto con l’idea “tradizionale” di mascolinità, come è accaduto in adolescenza allo stesso Saverio. I protagonisti di Mia sorella e Faccia di cuscino, come tanti altri ragazzi, si ritrovano costretti ad accettare ed esercitare questo tipo di mascolinità, spinti dalla pressione sociale e del gruppo. Parlando dei suoi protagonisti, Saverio spiega che gli piace rappresentare «la persona che ha osservato e anche subìto, piuttosto che la persona che ha interpretato quel tipo di valore», ed è da questa contrapposizione che emergono gli aspetti più soffocanti ed oppressivi.

Simone aggiunge che uno sguardo privo di particolari preconcetti è un valore in più, che permette di mettere in scena con maggiore complessità riflessioni su cosa dovrebbe essere il maschile, il femminile o un corpo normativo. La definizione di sé è uno dei grandi problemi del soggetto, ma per Simone l’identità «è qualcosa di totalmente magmatico che non si può semplicemente perimetrare».

Ritiene, quindi, che sia sbagliato parlare di ridefinizione, mostrare scenari differenti «non deve diventare un nuovo perimetro, ma una spinta continua a crearne di nuovi». Più che ridefinire un’idea di mascolinità, quindi, occorrerebbe distruggerla.

Valentina Pietrarca

Per partecipare alla serata di Indocili, assistere alle proiezioni dei cortometraggi ed entrare in dialogo con gli artisti intervistati, è possibile inviare una mail
a prenota@cinemabeltrade.net.