LA GUERRA NON È MAI FINITA – Brevissima intervista a Lydia Lunch

LA GUERRA NON È MAI FINITA – Brevissima intervista a Lydia Lunch

Quando nella mia cameretta adolescenziale ballavo freneticamente sui suoni distorti e graffianti dei Teenage Jesus and the Jerks, mai avrei pensato che molti anni più tardi avrei intervistato la frontwoman Lydia Lunch, maggior esponente un movimento underground newyorkese che si sviluppo’ alla fine degli anni Settanta, la No Wave.

L’occasione arrivò giovedì 4 novembre 2021: Kinodromo organizzò al TPO di Bologna la prima proiezione nazionale di The War Is Never Over, documentario del 2019 diretto da Beth B. e ideato dalla stessa Lunch: si tratta del primo film in assoluto dedicato a Lydia. Un ritratto emotivo e politico che fa emergere la potenza sovversiva e iconoclasta dell’artista. Mi fu chiesto di moderare il dibattito ma soprattutto di prepararmi qualche domanda che forse ci sarebbe scappata un’intervista – breve però, una manciata di minuti al massimo.

Cosa aveva da chiedere in poco tempo uno studentello di beni culturali a un genio creativo della sua portata, abituato a confrontarsi con la scena artistica e intellettuale internazionale?

Dopo febbrili ricerche e lunghe riflessioni decisi che la cosa che davvero avrei voluto sapere era il suo punto di vista sull’arte sovversiva nella contemporaneità. Così quella sera presi coraggio e armato dei miei appunti mi feci attraversare dalla sua potente personalità – mi ricordo che percepii proprio a livello fisico una sorta di onda d’urto invisibile. 

LYDIA LUNCH & BIG SEXY NOISE (Zda), Gromka, AKC Metelkova, Ljubljana, foto: Sebastijan Iskra

Da allora sono passati due anni durante i quali non ho mai trovato il coraggio di sistemare questa intervista. Ma giovedì 2 novembre 2023 al Cinema Beltrade di Milano alle ore 22.00 Lydia Lunch tornerà in sala a presentare Artists: Depression, Anxiety and Rage, il suo nuovo film, scritto e diretto insieme a Jasmine Hirst (qui maggiori dettagli) e d’un tratto mi è sembrato che fosse arrivato il momento giusto per rimetterci mano.

Eccovi quindi questa conversazione, semplice e breve, che però racchiude tutta l’emozione di un ragazzetto davanti alla sua icona underground preferita dai tempi del liceo.   

Cercherò di essere breve… 

[Riferito ai miei appunti] Questo non sembra breve, lì hai tutta un’intera enciclopedia! Oh mio dio, poche domande sono due pagine. Beh intendo dire che gli italiani parlano troppo, quindi se parli troppo ti taglierò la gola, come il dipinto del Caravaggio laggiù [una riproduzione di Giuditta e Oloferne]. Lo ricreiamo, ok? 

La prima domanda riguarda il tuo rapporto con l’Italia e Bologna perché sei venuta qui molte volte, la prima nel 1980 con gli 8-Eyed Spy…

Prima che tu fossi nato. Non eri neanche uno spermatozoo quando sono stata qui la prima volta.

Cosa ne pensi della scena underground bolognese e com’è cambiata? 

Hai chiesto alla persona sbagliata perché quando vengo a Bologna rimango per 24 ore. Perché non me lo dici tu com’è la scena? Adesso ci sono io quindi la scena si è ingrandita, almeno per una notte. Ma non conosco le scene dei luoghi che visito per un breve periodo. Posso solo immaginare, sperare che quello che porto allarghi la mente delle persone…   

Più in generale com’è cambiato lo scenario della musica alternativa? Mi sembra che la rabbia e il furore degli anni ‘70 e ‘80 siano stati sostituiti da una sorta di afflizione catatonica.

Devi essere molto deluso dalla tua generazione, perché neanche io sono molto contenta di loro, MA ho ancora la speranza che ci saranno persone aggressive pronte a fare ogni tipo di rumore e musica e magazines, archivi e interviste. È che… c’è troppa merda che rende difficile individuarle. È come il jazz o la letteratura, a volte bisogna andare indietro per andare avanti: con la letteratura si può andare indietro di tre secoli alla filosofia del marchese De Sade, negli anni ‘20 c’era Henry Miller, nei ‘60 Hubert Selby, e anche con la musica si può guardare indietro e ritrovare quello spirito. Credo che internet abbia i suoi aspetti positivi ma credo anche che abbia diminuito la centralità dei luoghi: gli anni ‘20 a Parigi, i ‘30 a Berlino, il rock and roll a Memphis nei ‘50, San Francisco nei ‘60, Los Angeles, Londra e New York nei ‘70. Dopo l’arrivo di internet la gente ha smesso di radunarsi in un luogo. Si è dispersa e alla fine i festival sono diventati sempre più grandi e i piccoli club sono diminuiti. Credo sia questo il problema. Non so perché la gente si raggruppi in una città per creare un movimento ma l’abbiamo visto accadere. Così oggi la comunità non è più concentrata ma distribuita. Ecco perché porto l’underground ovunque vado. 

Lydia Lunch, JG Thirlwell, e Excene Cervenka Foto di Richard Kern

Parlando di internet e di rumore, è ancora possibile oggi – confusi come siamo dalla grande quantità di immagini e informazioni a cui siamo quotidianamente sottoposti – fare dell’arte sovversiva?   

Innanzitutto c’era un sacco di arte sovversiva prima di internet e non ha impedito a nessuno di essere sovversivə. Il problema che vedo… Per esempio, io non gestisco il mio Instagram, né il mio Facebook, non sono mai stata sul profilo di nessuno perché non me ne frega un cazzo. Non voglio sapere cosa fa la gente, cosa mangiano, chi frequentano… I miei social mi servono solo per sponsorizzare quello che faccio, ok? Per esempio da due anni ogni settimana tengo un podcast, 120 episodi, riguardo musica, musei, scrittorə, musicistə, artistə, attivistə… Forse mi ascoltano in 15 mila ogni settimana, mentre sul mio Instagram ci sono 18 mila idioti che non fanno altro che guardare immagini, immagini e immagini. Questo non mi rende felice. Hai visto le mie cazzo di foto?   Va’ ad ascoltare qualcosa, leggi un cazzo di libro, questo è quello che penso dei social media. Guardano solo le immagini e non ascoltano, la prossima, la prossima, la prossima. Si sta coltivando una cultura delle persone senza attenzione. Oppure concentrate sulle scemenze. O clic clic clic, swipe swipe swipe, o zombie. 

Foto di Richard Kern

Quindi l’arte sovversiva è…

Voglio dirti che l’arte sovversiva ce l’hai nei pantaloni, come ti fa sentire? 

Bene.

Cool but also hot! Ti sto provocando e stai arrossendo, va bene così.    

I’ve almost done… [Ho quasi finito] 

Farò in modo di stroncarti la carriera! Che significa you’re almost done? [Stai per chiudere con me?] Dopo questo, Kaput! Non ti farò mai più fare un’intervista. Ti prenderò il lavoro, come la metti?

Non sono un intervistatore professionista.

Neanch’io sono una professionista. Quando noi diciamo professionista intendiamo prostituta. Tu sembri una prostituta… professionista. È un complimento.

Mignotta provetta, mi piace!

Bad boy, very cute!

Cosa significa per te che la guerra non è ancora finita? 

Per te lo è?

No, per me no.

Non è affatto finita perché per me la guerra è contro l’individuo, contro la libertà, è contro tutto il resto, te, me e chiunque non sia un fottutissimo ricco politico succhiacazzi. Così la guerra non è ancora finita.  

Il tuo libro e il tuo film preferiti. 

Tu e non sei ancora stato scritto.

Grazie.

Grazie caro. 

Alessio Chiappi