Frammenti di Paradiso | Piccolo elogio a Jonas Mekas

Frammenti di Paradiso | Piccolo elogio a Jonas Mekas

Esattamente quattro anni fa, il 23 gennaio 2019, ci lasciava Jonas Mekas, cineasta, critico, archivista, scrittore e poeta lituano emigrato negli Stati Uniti alla fine degli anni ’40. Figura cinematografica fin troppo misconosciuta, Mekas è stato in realtà un personaggio fondamentale per la nascita del cinema d’avanguardia nell’America del secondo dopoguerra nonché per una nuova concezione di conservazione e valorizzazione dei film attraverso l’archivio.

Lavoratore instancabile, egli ha fin da subito utilizzato il mezzo della macchina da presa per esprimere sé stesso e mostrare, senza filtri e nessun tipo di tecnicismo, la realtà che lo circondava attraverso la lente del suo sentire. Nei suoi film, tutti caratterizzati da una naturale sperimentazione e una delicata spontaneità, le immagini in movimento rappresentano la sua personale visione della vita quotidiana, della famiglia, degli amici, dei colleghi, senza mai essere irrispettoso o invadente.

Ammetto con vergogna che avevo letto e sentito parlare di Jonas Mekas solo durante i miei studi universitari, e così per caso, durante l’ultima Mostra del Cinema di Venezia, l’ho finalmente scoperto grazie alla visione di Fragments of Paradise, documentario della regista K. D. Davison, vincitore del premio “Miglior documentario sul Cinema” al Festival.

Dopo la visione di questo film ho raggiunto la consapevolezza che Mekas sia un personaggio che debba essere assolutamente approfondito attraverso la sua opera, un’opera che racchiude la sua intera avventurosa vita. Questo piccolo articolo, infatti, vuole essere più che altro un invito a conoscerlo attraverso i propri occhi (anche su YouTube si trovano molti suoi lavori).

Jonas Mekas, cinefilo cineasta

Jonas Mekas, nato la vigilia di Natale del 1922 nella cittadina lituana di Biržai, arrivò negli Stati Uniti con il fratello minore Adolfas nel 1949, dopo difficili anni in Europa durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale (furono entrambi prima rinchiusi in un campo di prigionia tedesco e poi costretti a vivere per anni nei campi profughi). Poco dopo essere sbarcato a New York, stabilendosi a Brooklyn, acquistò la sua prima macchina da presa Bolex 16 millimetri, iniziando a filmare – senza mai smettere nel corso della sua lunga esistenza – momenti della propria vita e avvicinandosi al cinema sperimentale e d’avanguardia che stava prendendo piede in quegli anni.

Si può affermare che Mekas sia stato il vero e proprio iniziatore di un certo cinema d’avanguardia negli anni ’50 in America, portando produzioni underground – non solo sue – al Cinema 16, sede del Cine Club di Amos Vogel, attivo dal 1947 al 1963 a Manhattan. Dopo aver scritto per diverse testate di settore, nel 1954 fondò insieme al fratello Adolfas Film Culture, la prima rivista di critica americana su modello dei Cahiers du Cinèma francesi e della britannica Sight & Sound, con uno spiccato interesse per il cinema sperimentale. Nel 1960 ideò il New American Cinema Group – confluito nel 1962 nella Film-Makers’ Cooperative – che riuniva i registi indipendenti di New York. Tali autori e autrici aderivano al Manifesto del New American Cinema Group, elaborato da Mekas stesso, che si dichiarava in netta opposizione etica ed estetica con l’industria hollywoodiana, volendo creare un tessuto distributivo alternativo e libero dalla censura.

Mekas non fu solo un cineasta, ma anche e soprattutto un cinefilo, un amante della bellezza e delle immagini. Per questo motivo volle creare anche un archivio del cinema che contenesse tutti i titoli secondo lui essenziali di tutta la storia del cinema, non solo classico ma anche e soprattutto indipendente, d’avanguardia e sperimentale: l’Anthology Film Archives a New York, che nacque come evoluzione della Film-Makers’ Cooperative.

L’uomo dietro la macchina da presa

Mekas filmava tutto. Filmava tutto ciò che riguardava la sua vita dal proprio personalissimo punto di vista, senza concentrarsi troppo sulla tecnica. Oltre ai primi film più sperimentali, come The Brig – versione cinematografica dell’omonimo spettacolo del Living Theatre sul tema del carcere – e Empire – il film di otto ore di Andy Warhol di cui curò la fotografia – ha ripreso sempre pezzi della sua esistenza e di quella dei propri cari.

Ha realizzato pellicole di una incredibile intimità e bellezza, riprendendo episodi veramente personali, come il parto della sua prima figlia, senza apparire mai fuori luogo o eccessivo, ma facendo percepire la naturalezza e la spontaneità delle situazioni che gli si ponevano davanti alla cinepresa, l’occhio dei suoi ricordi. Il tutto spesso accompagnato dalla sua voce narrante, lievemente robotica.

L’abnegazione per la propria arte unita alle sofferenze del suo passato introiettate nel corso del tempo, però, lo assorbì così profondamente, che il risultato fu l’incrinatura e la fine di uno dei rapporti più importanti della sua esistenza, quello con la moglie Hollis Melton, madre dei figli Oona e Sebastian. Questo lo fece sprofondare in una forte crisi depressiva, dalla quale si riprese solo negli ultimi anni di vita anche grazie al sostegno del figlio minore, che lo accompagnò a presentare le sue opere, vecchie e nuove, nei cinema e nei musei di tutto il mondo.

Il messaggio di Jonas Mekas, che ha lasciato questo mondo quattro anni fa all’età di quasi 97 anni, può essere riassunto col titolo di uno dei suoi film più intimisti: As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty. Mentre andavo avanti, di tanto in tanto ho visto brevi scorci di bellezza. Bellezza che è invisibile senza il filtro del dolore e dell’amore.

Frammenti di Paradiso

Fragments of Paradise di K. D. Davison non è solo un documentario, trasmette pienamente il messaggio e il senso dell’opera di Jonas Mekas. È un delicato racconto visivo composto di altri racconti visivi: immagini di repertorio sono mischiate a frammenti dei film di Mekas, che qui proposti prendono ancora più vita diventando ancora più emozionanti.

Quello che colpisce maggiormente è la delicatezza, la profondità e la capacità di osservazione di quest’uomo. Mentre guardavo il documentario di Davison, ho realizzato ancora una volta come il cinema ci insegni sempre qualcosa, e come noi attraverso il cinema impariamo qualcosa di noi stessi, venendo a contatto con storie di vita quotidiana normalissime, ma allo stesso tempo straordinarie.

Quello che lui voleva fare era riprendere la bellezza e la felicità, frammenti di paradiso nel flusso della normalità della vita. Come la ripresa di una coccinella che sta in bilico su un bicchiere pieno di vino e gira in tondo, gira in tondo continuamente senza mai fermarsi, con Mekas che dice: “Lei continua ad andare, ma dove sta andando? Lei non lo sa, continua ad andare senza sapere che in realtà sta facendo un giro in tondo”. E questa non è forse una metafora della vita di tanti esseri umani, che tanto si affannano ad andare, ma alla fine stanno girando in tondo? Invece è importante fermarsi e non smettere di cercare e trovare la bellezza.

Zoe Ambra Innocenti

* Tutte le immagini sono tratte dal film As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty (2000).