Lo scorso 3 dicembre, presso l’ex chiesa di San Mattia a Bologna, è stato presentato il libro as CHEAP as POSSIBLE, terza raccolta degli interventi di arte pubblica realizzati da un collettivo di donne a partire dal 2013; questo nuovo catalogo tratta il periodo 2018 – 2021 e, così come fatto durante il talk, cerca di spiegare, grazie a brevi commenti scritti, le motivazioni e inclinazioni di questo gruppo. as CHEAP as POSSIBLE è acquistabile sullo store online del collettivo e in alcune librerie indipendenti come Modo Infoshop a Bologna, Antigone a Milano e Nora a Torino.
Quali sono, quindi, le tematiche affrontate in questa raccolta e gli argomenti esposti sui poster che tappezzano il capoluogo emiliano? In un dialogo con la photo editor del settimanale Internazionale, Maysa Moroni, la docente universitaria Fabiola Naldi e il collettivo hanno messo in luce la loro visione in merito alla risignificazione della street art e alla contestazione che essa muove rispetto alle politiche urbane.
Il collettivo
CHEAP nasce nel 2013 come festival di poster e murali che viene portato avanti per cinque edizioni; dal 2018 il collettivo si trasforma in laboratorio permanente, che sostituisce la programmazione degli interventi con l’impiego situazionista dell’arte pubblica.
Il collettivo si presenta al pubblico come un corpo unico, in cui non si istituiscono gerarchie – raramente si esplicita il nome del singolo, salvo si tratti di artisti in collaborazione – ma si riconosce il valore che ogni persona gioca nel processo di creazione dei poster e nella loro affissione.
Riappropriazione dello spazio
Negli ultimi anni, le commissioni di opere di street art da parte delle istituzioni pubbliche sono aumentate in modo significativo, ma c’è stato un tempo – e c’è, in realtà, tutt’ora – in cui questo tipo di espressione artistica pubblica veniva associato al degrado dell’ambiente urbano. E il legislatore in merito all’imbrattamento parla chiaro: l’artista ha responsabilità (il)legale delle proprie opere che danneggiano la proprietà pubblica e l’immagine della città. Si genera un doppio standard, quindi, che fa accettare e apprezzare le operazioni volute dalle autorità e rifiutare in modo esasperato gli interventi spontanei. Questa dicotomia è alimentata dalle narrazioni che i media fanno della street art: alcuni artisti vengono esaltati, mentre si sviluppa una retorica ossessiva sulle azioni di pulizia dei muri e cancellazione delle opere “non commissionate”.
L’approccio che CHEAP ha nei confronti dell’affissione di poster è anti-monumentale; questo significa che l’obiettivo primario del collettivo non è che i propri lavori diventino attrazione, ma quello di occupare lo spazio urbano restituendolo alla comunità attraverso l’espressione di un sentire comune, spesso contrario alle norme di decoro imposte dalla turistificazione.
Donne in strada
La città non è costruita per ospitare le minoranze di genere ed etniche, ma, anzi, favorisce lo sviluppo di meccanismi di privilegio ed espulsione. A dimostrarlo non sono solo i saggi di autrici come Leslie Kern (La città femminista, Treccani, 2021), ma anche lo studio condotto da due ricercatrici di stanza a Milano, Azzurra Muzzonigro e Florencia Andreola; il progetto Milan Gender Atlas decostruisce l’area urbana del capoluogo lombardo attraverso il punto di vista dei gruppi che normalmente si vedono preclusa la vita cittadina a causa di mancanza di infrastrutture e sicurezza.
In termini di urbanistica, CHEAP adotta evidentemente una lettura femminista della materia, sia per quanto riguarda le modalità di azione (donne che in gruppo appendono i poster nella notte) che i contenuti delle opere.
Francesca Marchesini