La notte nella giungla è umida e soffocante. Sento lo sbattere d’ali di qualche insetto finito nella mia stanza che non riesce a uscire e gli assordanti versi di scimmie e uccelli. Quando suona la sveglia è ancora notte fonda. M’infilo i vestiti sporchi di fango del giorno prima cercando di proteggere più parti del corpo possibile dalla puntura deColle zanzare e mi avvio verso il molo dove mi aspettano Rebecca, Maz e Koko. Attraversiamo il fiume sulla piccola barca a motore alle prime luci dell’alba, con la nebbia fitta che rivela a malapena i confini della giungla. L’aria umida ci scorre addosso mentre procediamo sull’acqua cercando di individuare con le termocamere i macachi che dormono sugli alberi. A un cenno di Maz la barca si ferma. Rebecca scende confondendosi in mezzo alla nebbia e torna con un sacchetto pieno di zanzare.
Siamo sul fiume Kinabatangan, nel cuore del Borneo malese, nella giungla di Salgari. É qui che quattro anni fa ho incontrato Rebecca Brown, dottoranda scozzese che lavorava in collaborazione con l’Universiti Malaysia Sabah. Ci trovavamo entrambe al Danau Girang Field Centre (DGFC), un centro di ricerca che ha come obiettivo quello di limitare la perdita della biodiversità studiando gli effetti della frammentazione degli habitat sugli ecosistemi. Rebecca era lì per studiare una delle malattie zoonotiche che dagli animali selvatici ha raggiunto l’uomo: la malaria. Come ci ha ricordato la pandemia di Covid-19, una delle cause principali dei cosiddetti spillover è proprio l’alterazione degli habitat naturali: la deforestazione ad esempio, riduce lo spazio di numerose specie selvatiche aumentando le possibilità di contatto con l’uomo. Uno dei parassiti che causa la malaria, Plasmodium knowlesi viene normalmente ospitato da diverse specie di macachi e può essere trasmesso attraverso le punture di alcune zanzare anofele, dette zanzare vettore. Queste ultime hanno il loro habitat nella giungla e solitamente pungono i macachi, ma poiché le foreste del Borneo vengono abbattute per fare spazio alle grandi piantagioni di palme da olio, le occasioni di incontro tra zanzare e essere umani sono in aumento. Una zanzara punge un macaco che ospita P. knowlesi, si posa poi sulla pelle di una persona e la punge, trasmettendo il microrganismo. Per capire in che modo particolari condizioni ambientali possano aumentare il rischio di trasmissione della malaria nella popolazione, bisogna partire dallo studio dell’ecologia e del comportamento di queste zanzare.
Ho parlato con Rebecca del suo progetto di ricerca, per cercare di capire come mai un parassita che tipicamente infetta i macachi sia diventato una minaccia per la salute umana.
La giungla del Borneo, habitat naturale di macachi e zanzare anofele.
In cosa consisteva il tuo progetto di ricerca?
L’obiettivo della mia ricerca era quello di studiare l’ecologia e il comportamento delle zanzare che trasmettono questo particolare tipo di malaria causata dal parassita P. knowlesi nello stato di Sabah. Molti studi prima del mio si sono concentrati sull’ecologia di queste zanzare in relazione alle infezioni nella popolazione umana, mentre la ricerca che ho condotto nel centro di ricerca DGFC si concentrava sugli aspetti della trasmissione e del mantenimento dell’infezione all’interno della popolazione dei macachi a coda lunga. Il DCFG si trova nel Lower Kinabatangan Wildlife Sanctuary, a sette ore di macchina e 40 minuti di barca dalla città principale dello stato di Sabah, Kota Kinabalu. Era una zona perfetta per portare avanti la mia ricerca: potevo studiare le zanzare vettore in quasi totale assenza di uomini in un luogo dove vivono centinaia di macachi. Il mio obiettivo era quello di disegnare un quadro più preciso della trasmissione della malaria da macaco a macaco. Volevo scoprire innanzitutto quanto fossero presenti le diverse specie di zanzare vettore in questa zona, e poi capire quali tipi di infezioni malariche fossero diffuse sia tra le zanzare che tra i macachi.
Come si fa a catturare una zanzara?
Nel mio studio ho utilizzato delle trappole chiamate Mosquito Magnet, una sorta di aspirapolvere in grado di catturare le zanzare. La strategia era quella di posizionarle alla base degli alberi dove i macachi trascorrono la notte, lungo le rive del fiume Kinabatangan, in modo da poter catturare le zanzare che gli ronzano intorno in cerca di nutrimento. Per poter posizionare correttamente queste trappole è necessario quindi riuscire a localizzare questi grandi gruppi di macachi che dormono sugli alberi. Ci troviamo però nella fitta giungla del Borneo nel cuore della notte, diventa quindi difficilissimo riuscire a individuarli. Sono stata molto fortunata a poter collaborare con Amaziasizamoria Jumial, per gli amici Maz, una primatologa che stava frequentando un master alla Universiti Malaysia Sabah. Grazie all’uso di una termocamera, Maz era in grado di individuare quali fossero gli alberi sui quali dormivano i macachi. Una volta individuato il punto adatto, ci fermavamo con la barca e facendoci strada nel fango che arrivava alle ginocchia, posizionavamo la trappola alla base dell’albero. Un’altra veniva sistemata come controllo, alla base di un albero uguale per specie e struttura, ma senza macachi. La mattina successiva, prima dell’alba e prima che i macachi si svegliassero, ripartivamo con la barca per andare a riprendere le trappole. Maz utilizzava la termocamera per stimare il numero di macachi che dormivano sopra la trappola, direttamente dalla barca. Prendevo il sacchetto pieno di zanzare dalla Mosquito Magnet e raccoglievamo le feci dei macachi attorno all’albero. Una volta tornati al campo, andavo in laboratorio ad analizzarle.
Maz cerca di individuare i macachi.
Quali sono stati i principali risultati del tuo studio?
Questo tipo di trappola per le zanzare si è rivelata molto efficace nel campionare i vettori della malaria nelle vicinanze di gruppi di macachi. La zanzara vettore di P. knowlesi, Anopheles balabacensis, era presente in numero molto basso, ma comunque in numero significativamente maggiore nelle vicinanze dei macachi rispetto al sito di controllo (la trappola sotto l’albero senza macachi). Questo indica una propensione da parte delle zanzare A. balabacensis a nutrirsi di questa specie. Un’alta prevalenza di parassiti appartenenti al genere Plasmodium è stata rilevata all’interno delle popolazioni di macachi, attraverso lo screening delle feci, anche se nello specifico non è stata trovata traccia di Plasmodium knowlesi. Inoltre, non è stato trovato nessun parassita P. knowlesi nemmeno nelle zanzare, ma due A. balabacensis erano infette da un altro parassita: Plasmodium inui. Quindi P. inui potrebbe circolare su larga scala nei macachi di questa zona. Ad oggi ancora non sappiamo se una trasmissione naturale di P. inui si possa verificare dai macachi agli uomini, ma il fatto che siano state rilevate delle infezioni in questa zona, e che alcuni studi riportino che esemplari di A. balabacensis siano state catturate vicino a insediamenti umani, mette le basi per un potenziale spillover negli uomini.
Dopo aver trovato il luogo adatto, posizionano la Mosquito Magnet.
Per condurre questo studio hai trascorso diversi mesi nel Borneo malese. Com’è la vita nella giungla?
Il lavoro sul campo al DGFC è durato solamente tre mesi, ma il luogo incredibile e la natura avvolgente l’hanno resa un’esperienza che ricorderò per tutta la vita. Alle prime luci dell’alba, vedere come la giungla prende vita, attraversando il Kinabatangan con una piccola barca a motore, è qualcosa di spettacolare. Il richiamo dei gibboni, le scimmie nasiche che si lanciano da un albero all’altro, i macachi che scendono dagli alberi verso il fiume e gli immensi hornbill che volano sopra le nostre teste. Avanzando con la barca, capitava di svegliare grossi coccodrilli che dormivano nel fango o di sentire i forti tonfi del passaggio degli elefanti. Una delle scene più incredibili a cui ho assistito è stata una mattina tornando verso il campo, quando ci siamo imbattuti in due elefanti adulti che aiutavano un cucciolo di elefante ad attraversare il fiume, proteggendolo dalla forte corrente.
Koko porta la barca sul Kinabatangan alle prime luci dell’alba.
Gli epidemiologi sono sempre più d’accordo nell’affermare che i disturbi antropici di habitat naturali aumentino il rischio di malattie zoonotiche, il che ci aiuta a spiegare come mai eventi di spillover siano in aumento in tutto il mondo. La deforestazione fa si che specie che normalmente non vivono a contatto, possano improvvisamente trovarsi nelle vicinanze e condividere patogeni. Per fare spazio alle piantagioni di palma da olio, negli ultimi decenni in Malesia sono stati rasi al suolo migliaia di chilometri quadrati di foresta tropicale. Il forte aumento di casi di malaria può essere ricollegato alla deforestazione?
Sì, è stata dimostrata una chiara correlazione tra deforestazione e aumento di infezioni malariche causate da P. knowlesi nella popolazione dello stato di Sabah. In uno studio condotto dal Dr Kimberly Fornace della London School of Hygiene and Tropical Medicine, sono stati confrontati i dati sul numero di infezioni da P. knowlesi provenienti dagli ospedali e i dati sulle variabili ambientali raccolti tramite rilevamento satellitare. É stato dimostrato un evidente legame tra l’incidenza di P. knowlesi nella popolazione, la copertura forestale e la perdita di foreste storiche nelle aree circostanti.
Una piantagione di palme da olio.
Studi come il tuo possono aiutarci a prevedere i prossimi spillover. Quale sarà il prossimo parassita ad infettarci e in che modalità. Come possiamo usare le informazioni sull’ecologia delle zanzare per ridurre il rischio di future epidemie?
Uno dei risultati fondamentali di questo studio è che le trappole Mosquito Magnet rappresentano uno strumento valido per la sorveglianza: ci permettono di monitorare quali infezioni circolano nelle popolazioni di macachi selvatici. Il passo successivo all’identificazione di un vettore che rappresenta un potenziale rischio di infezione, può essere quello di intervenire con tecniche di controllo delle zanzare e l’utilizzo di specifici insetticidi o di repellenti che possano interrompere il ciclo di trasmissione. Ma la sorveglianza non basta. Abbiamo bisogno di passare a un approccio One Health – ovvero iniziare a pensare in termini di salute condivisa, tenendo presente che la salute degli esseri umani è strettamente connessa a quella degli ecosistemi e degli animali selvatici.
Per decenni è stata sottovalutata la relazione che c’è tra biodiversità, utilizzo del suolo e malattie infettive emergenti. La pandemia di Covid-19 ha sicuramente messo in luce il ruolo che può avere la biodiversità nella trasmissione di patogeni. Pensi che dopo la pandemia ci sia stata una maggiore attenzione per ridurre il rischio di trasmissione della malaria?
Una strategia molto utilizzata in questo campo è quella di fare uno studio del territorio per predire il rischio di trasmissione malarica. Infatti, la diffusione di malaria negli uomini è strettamente collegata a fattori ambientali come le piogge, la temperatura e l’altitudine: tutti fattori che possono influenzare l’ecologia delle zanzare e la sopravvivenza dei parassiti della malaria. Tuttavia non credo sia aumentato l’impegno nel mappare questi fenomeni in seguito alla pandemia di Covid-19, anche se sicuramente è stata messa in luce la necessità di controllare le zoonosi e di avere dei piani adeguati di monitoraggio e di intervento in loco. In Malesia sono state rilevate anche infezioni da P. cynomolgi nella popolazione, ma per ora nessuna infezione è stata ricollegata a P. inui. Ad ogni modo, queste specie di malaria (P. inui e P. cynomolgi) sono quelle più diffuse nei macachi e nelle zanzare vettore in Malesia. Ma dato che le infezioni negli uomini causate da queste specie potrebbero indurre una malattia meno grave di quella causata da P. knowlesi, a causa di un tasso di replicazione più lento, questi tipi di infezione rischiano di non essere rilevati affatto. Quindi, monitorare le infezioni nella popolazione e la presenza di zanzare vettore vicino agli insediamenti umani è assolutamente necessario per individuare in maniera tempestiva qualsiasi spillover di P. inui o P. cynomolgi negli uomini.
Le diverse specie di zanzare vengono identificate al microscopio.