20 anni in un secondo: due film dal 2004.
di Ginevra Zaretti
L’11 settembre l’associazione Tafano porta al Cinema Beltrade due film direttamente dal 2004: 30 anni in un secondo di Gary Winick e a seguire Mean Girls di Mark Waters scritto da Tina Fey. Siamo invitati in questa serata a guardare con gli stessi occhi di 20 anni fa due film sul diventare adulti – come se anche noi avessimo raggiunto oggi il futuro che ci aspettava la prima volta che li vedevamo, allo stesso modo della protagonista di 30 anni in un secondo.
Un film che, rivisto da adulti, sembra mostrarsi in qualche modo profetico. Quando Jenna si sveglia nel corpo di una se stessa vent’anni più grande inizialmente le sembra di aver conquistato la vita dei suoi sogni, il lavoro ben pagato che desiderava, un gigantesco appartamento a New York e un fidanzato perfetto. Tuttavia, i suoi occhi da bambina ci mettono poco a rendersi conto dei sacrifici umani che si celano dietro al successo lavorativo e sociale che ha ottenuto. E così decide di fare un passo indietro, cercando di riavvicinarsi al suo migliore amico di infanzia, perso di vista negli anni. A quanti è capitato di dover sacrificare i propri affetti o addirittura delle parti di se stesso per fare carriera? L’invito del film è quello di non perdere contatto con la parte più genuina del nostro sguardo, difendendolo dalla durezza della vita adulta e mantenendo l’incanto delle nostre speranze nell’intendere il mondo che ci auguriamo.
A seguire Mean Girls, che con le sue battute tagliente e la sua cattiveria rimane uno dei film più iconici e ricordati dei primi anni Duemila, tra competizione al femminile e scorrettezza che arriva sia dallo status quo – la perfetta bellezza bionda di Regina – che dal basso – la vendicativa Janice.
Nel tentativo di contravvenire quanto ci si aspetta dall’ingenuità con cui tutti la descrivono, Cady, la nostra protagonista, si rivela identica alle cattive, che nascondono le proprie insicurezze con il fare velenoso tipico di chi sta diventando grande. Ci si trova così a riflettere su cosa significhi la popolarità quando si è adolescenti, ma anche sulla complessità delle amicizie femminili, spesso covo di gelosie. Non si può certo dire che il recente adattamento (2024) – in realtà tratto prevalentemente dalla trasposizione di Broadway – sia un prodotto destinato alla stessa durevolezza dell’opera madre.
Ciò che ha reso l’originale un vero e proprio cult è in fondo la sua capacità di essere un prodotto del suo tempo e senza tempo, quando il reboot presta il fianco agli impacci e l’imbarazzo della cultura più moderata e intimidita che spesso affatica il cinema di oggi. Nonostante l’avvento dei social lascerebbe presupporre il contrario, l’esperienza delle superiori per chi le vive oggi conserva ancora molti dei fenomeni esplorati nell’originale. Questo lo rende il mix perfetto di nostalgia e attualità. Inoltre il film ha costruito una sua iconografia ben riconoscibile, dagli abiti delle protagoniste alle battute ormai sedimentate nella cultura pop (a partire dall’indimenticabile “on Wednesdays we wear pink”).
Mean Girls riesce con leggerezza a portare un messaggio sempreverde, è un film sulle maschere che le persone creano per non essere viste come vulnerabili: Cady che si infiltra tra le Plastic – nome affibbiato a Regina e alle sue seguaci – per essere popolare e che fa finta di essere meno intelligente di quello che è per conquistare il ragazzo dei suoi sogni; oppure Regina, che indossa una maschera per proteggere la sua posizione da leader. Insomma, piuttosto che seguire la moda degli ultimi anni che spinge alla continua creazione di reboot e rivisitazione di brand cinematografici, perché non raggiungere il Beltrade per riscoprire con gioia adolescenziale questi film come fosse la prima volta? E ovviamente vestiti di rosa.