«È interessante immaginare che, quando ha il ciclo, la donna manifesta questo potere distruttivo che la rende pericolosa agli occhi della propria comunità». A pronunciare questa frase è Olga Torrico, regista del cortometraggio Chello ‘ncuollo. Il titolo è un’espressione dialettale traducibile con “quella cosa addosso”, utilizzata per indicare il ciclo mestruale senza nominarlo.
La terza opera della regista e produttrice casertana intreccia la vita di Renata con la tradizione rurale quando, a causa dell’arrivo del primo ciclo, la ragazzina viene esclusa dalle attività contadine. «Mia madre mi ha sempre raccontato queste storie relative alle credenze contadine sul ciclo mestruale. Io vengo da un paese rurale che si chiama Casale di Carinola e in questo mondo suddette credenze erano diffusissime negli anni in cui mia madre era una ragazzina e ancora oggi. Sono racconti legati tanto a un misticismo, a un potere invisibile, così come alla realtà e ritualità contadina». Le credenze cui la Torrico si riferisce affermano che la donna, durante le mestruazioni, ha il potere di far marcire gli alimenti e le piante solo attraverso il tocco – Renata, per questa ragione, è esclusa dalla preparazione della passata di pomodoro.
Poiché il soggetto di Chello ‘ncuollo è legato alle dinamiche generazionali di successione ed eredità, il film è ambientato fuori da una temporalità precisa. L’attitudine è quella documentaristica, anche se l’opera è di fatto pura fiction. Il cortometraggio si sviluppa attraverso una narrazione concentrica, costruita sul continuo ripetersi dei cicli naturali. «All’interno del cortometraggio volevo parlare del succedersi delle stagioni, di questa pulsazione vitale che si trova al di sotto della terra, negli animali, nel corpo della donna. Volevo parlare di una natura che in qualche modo macina su se stessa, proprio come quell’eterno ritorno delle credenze che vengono tramandate».
Per simboleggiare la ritualità, Torrico inserisce nella sua opera l’icona di Santa Lucia, l’equivalente cristiano della dea romana Cerere, associata ai raccolti e alle stagioni. «Santa Lucia si è intrecciata al corto in una maniera viscerale e profonda, sottendeva tanti significati nascosti che mi guidavano nella realizzazione. Innanzitutto mi interessava mostrare un’eroina sacra portatrice di un femminile forte. La figura di Santa Lucia si perde in racconti e leggende antichissime, alcuni la considerano una santa femminista perché si oppose alle volontà esterne di incastrarla in un matrimonio combinato. Ma aldilà di queste storie, il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, è il momento in cui giunge l’inverno: a partire dal giorno “più corto” dell’anno, le ore di luce iniziano poi ad allungarsi. Santa Lucia rappresenta perciò la vittoria della luce sulle tenebre, preannuncia le stagioni più rigogliose e i raccolti futuri. E’ inoltre una santa associata alla purezza, altro concetto presente nel corto, perché morì vergine. Infine, essendo la santa della vista, dell’occhio, come non pensare a lei come a una santa del cinema?».
Nonostante i racconti popolari da cui il film scaturisce dipingano il ciclo mestruale come qualcosa di pericoloso, Torrico ha deciso di montare una scena di free bleeding nella natura in quanto «sicura di voler mostrare il sangue per mettere in scena la realtà delle cose». L’immagine del sangue mestruale che cola lungo la coscia di Renata (interpretata da Lavinia Sannino ndr), per quanto delicata e complessa da costruire, è stata realizzata in un solo take. Il fatto che l’arrivo del primo ciclo della ragazzina avvenga durante la raccolta dei pomodori, mentre le altre contadine cantano, dona al momento un’aura di sacralità profana.
Chello ‘ncuollo si conclude su una serie di scatti fotografici risalenti a epoche lontane, che ritraggono la nonna e la madre della regista; una di queste foto è in realtà presente anche all’interno del cortometraggio, a mo’ di fermo immagine per distinguere gli episodi della vita estiva da quella invernale. «Quella foto che vedi all’interno del film, in cui si vede una bambina che ride in mezzo alla neve, è la vera Renata (madre della regista ndr). Con quell’immagine volevo riconnettere la finzione cinematografica con gli elementi di vita reale che mi hanno ispirato. L’immagine della neve, inoltre, segna un passaggio di tempo a livello stagionale. Finisce la vita di una Renata bambina, finisce l’estate, i rami si spogliano, la natura si trasforma. Ma poi i semi tornano alla terra e tutto ricomincia.».
Francesca Marchesini