1968 – Gli uccelli – Recensione a cura di Andrea Pedrazzi

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1968 – Gli uccelli – Recensione a cura di Andrea Pedrazzi

 

Un assalto al cielo mai raccontato

Il clima rivoluzionario del 1968, segnato dal sollevamento di un senso di ribellione che confluì nella controcultura, nelle proteste e nelle occupazioni, è noto per essere stato fomentato da una volontà irreprimibile di esternare il proprio dissenso nei confronti dei vincoli imposti dall’ordine istituzionale. Un movimento caratterizzato dalla ricerca di forze innovative, attraverso elementi di rottura dell’equilibrio ed in favore di un sguardo libero ed originale. In quest’epoca di apertura, per quanto possa sembrare paradossale, c’erano però degli individui talmente bizzarri ed esuberanti da poter suscitare un senso di perplessità anche nelle frange rivoluzionarie. Questa è la natura degli Uccelli: Paolo Ramundo, Martino Branca e Gianfranco Moltedo, un trio di giovani studenti ed artisti che decise di portare la rivoluzione al di fuori degli atenei attraverso gesti di provocatoria ilarità.
Una storia “mai raccontata” che i registi Silvio Montanari e Gianni Ramacciotti decidono di riscoprire attraverso le testimonianze fervide e nostalgiche dei diretti interessati, delineando i profili di questi assoluti outsider che cinquant’anni orsono riuscirono a scuotere anima e corpo di un notevole numero di seguaci. Attraverso uno spunto classico, tanto semplice nell’esposizione quanto efficace nel restituire una chiara visione degli eventi tracciati, i registi indagano l’espansione della popolarità di questo stravagante gruppo. Oltre ai tre fondatori del collettivo, compaiono anche le testimonianze dei loro primi seguaci e soprattutto di figure istituzionali che, nutrendo una certa simpatia nei confronti degli Uccelli, finirono involontariamente per rivelarsi loro complici.

In questo senso la figura di spicco è rappresentata da Paolo Portoghesi, allora giovane professore alla Sapienza che ebbe un ruolo preponderante nell’adempimento del loro primo atto di protesta su vasta scala: l’occupazione della cupola di Sant’Ivo. Dopo questo episodio, che costituì un passaggio cruciale nella loro storia, il consenso nei confronti delle iniziative che li vedeva coinvolti crebbe in modo esponenziale, tanto da spingere la loro influenza ben oltre i confini dell’ateneo romano. Essi raggiunsero Berlino instaurando contatti con gli attivisti della Kommune 1, occuparono i Sassi di Matera istigati dall’artista ed amico Carlo Levi e furono persino invocati dalle autorità di Gibellina affinché richiamassero l’attenzione sulla drastica situazione che seguì al terremoto del Belice.

Montanari e Ramacciotti concedono una forma lineare al racconto di questi eventi, accompagnando le parole dei protagonisti con una serie di eloquenti immagini di repertorio. Il fine è quello di comporre un quadro preciso delle loro attività in quanto gruppo socioculturale e politico, non addentrandosi, invece, nella profondità delle loro esperienze individuali. Scelta che da un lato toglie al film una dose di carica emotiva ed empatica, ma che allo stesso tempo garantisce una narrazione leggera ed incalzante, nonché centrata rispetto all’obbiettivo di rendere note le mirabolanti gesta degli Uccelli. Il tutto procede senza cedimenti fino ad una chiusura che si concede anche un pizzico di malinconia, lasciata trasparire dalle voci e dagli sguardi dei protagonisti chiamati a rammentare un passato sprofondato e forse irripetibile. In quegli occhi si scorgono l’amarezza ed il rimpianto per un ideale spentosi improvvisamente e troppo presto, ma anche la consapevolezza di essere stati fomentatori di una forza dirompente che non andrà dimenticata.

 

Andrea Pedrazzi