IL CINEAMATORE (108′, 1979, PL) di Krzysztof Kieślowski (Recensione di Alberto Berardi)

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Anna: “Sai che diceva sul serio?”
Filp:”Jurga?”
Anna: “Sì. Questi film non valgono niente, compreso il tuo”
Filip: “Lo so bene… ma perché hai votato per me?”
Anna: “Perchè così tu continuerai… “

Filip Mosz è appena diventato papà. Ebbro di felicità compra una cinepresa per filmare i primi momenti di vita di sua figlia. Appena il direttore dell’azienda statale per cui lavora apprende che egli possiede una cinepresa gli chiede di usarla per filmare l’imminente festa di giubileo della fabbrica. Seppur titubante, Filip accetta la proposta e la nuova attività di cineamatore inizia a trasformare la sua esistenza in maniera sempre più rapida e incontrollata.

Anna, seducente membro della potente Associazione dei Cineamatori, a metà della storia usa per descrivere se stessa a Filip delle parole che definiscono in realtà il nostro protagonista: “Mi chiamano amatrice, e hanno ragione […] Non ho mai potuto abituarmi a niente e a nessuno”. Novello uomo con la macchina da presa dall’istante in cui si trova tra le mani il nuovo strumento, Filip è chiamato a soddisfare le legittime attese di ciascuno degli elementi umani che lo circondano, appartenenti o alla sfumata cerchia degli affetti (la moglie, l’amico, la madre dell’amico) o allo strutturato sistema della società in cui vive (il direttore, il responsabile del settore cultura della fabbrica, il regista già affermato – Zanussi che interpreta se stesso). Quando il suono regolare della pellicola che gira nel caricatore della 8mm inizia a sostituire il singhiozzo che sorprende il protagonista nei momenti di emozione, crediamo per un attimo che la sensibilità disordinata e l’irrequietudine di Filip abbiano trovato nell’azione del filmare un possibile elemento di equilibrio. Non durerà: l’euforia sarà spazzata via subito dal conflitto dei desideri altrui.

La bellezza del film e la sua profondità stanno nel come Kieslowski riesca a nascondere altro dentro a un certo schematismo apparente di scelte contrapposte. Dalla difficile conciliabilità tra famiglia e propria realizzazione artistica, o tra il soddisfare un committente e raccontare la propria verità, ogni dissidio già visitato innumerevoli volte dal cinema diventa il contenitore di quesiti che si rivolgono al cinema stesso e alle possibilità di questo di misurarsi con la realtà.

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Il primo problema che Filip incontra è semplice, scegliere di mostrare qualcosa significa omettere qualcos’altro. La gioia che inizialmente è data a un cineamatore dalla libertà di poter filmare qualsiasi cosa si desideri è messa in discussione dalla costrizione a un punto di vista unico che non potrà mai essere esauriente. Così, ad esempio, un reportage sulla propria città che denuncia la fatiscenza del retro della fabbrica, si trasforma nel danno d’immagine alle istituzioni locali e nell’omissione forzata su tutto quello che è stato realizzato positivamente per Witowice, come gli fa notare il suo direttore, dirottando su altro i fondi destinati dal partito di governo alla ristrutturazione della fabbrica in vista dei giochi.

Il dilemma successivo è l’incapacità del cinema di capire la realtà semplicemente filmandola. La realtà che Filip filma gli sfugge, come sfugge il mondo intorno a lui, non può essere governata, e non è sufficiente, a riportare l’ordine, il gesto che egli ripetutamente fa di mimare la ripresa mettendo le dita davanti agli occhi a mo’ di inquadratura, gesto che egli ripete infantilmente anche nel momento tragico in cui la moglie si allontana di spalle quando decide di lasciarlo definitivamente. Questo gesto compulsivo è ciò che sostituisce il singhiozzo come nuovo sintomo d’incapacità. L’amatore, colui il quale trae diletto nell’esercitare una passione, diventa quindi il dilettante nell’accezione contemporanea, cioè colui il quale non governa la propria arte. Egli è destinato a rimanere nel mezzo, a non potersi abituare a niente e nessuno come Anna, alla ricerca perenne. Il cinema di Kieslowski ha sempre posto più domande che risposte, e non è certo un cinema del messaggio (come scrive tra gli altri Serafino Murri). Tuttavia la strada che può essere indicata già dal finale del Cineamatore è che esiste un valore a priori nella capacità di interrogare del mezzo cinematografico, e soprattutto – cercando di evitare lo spoiler – che la cinepresa può e deve essere puntata in ogni direzione.

Alberto Berardi

In programma per la serata in collaborazione con Archivio Aperto > Martedì 28 ottobre 2014