SUPRA NATURA: AUX SOURCES! di Cinzia Puggioni – Intervista a Dem e Seth Morley

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Supra Natura

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AUX SOURCES!

di Cinzia Puggioni

Dem e Seth Morley, autori del film Supra Natura ci conducono attraverso la protagonista, la Natura, e il co-protagonista, lo stesso Dem, in un viaggio spirituale costellato da maschere e silenzi, animali e ironiche creature surreali, simboli e paure, ridando voce a quel sottobosco che fino a oggi sembra essere stato dimenticato. La storia ruota intorno a Dem, artista italiano, lungo scorci urbani e naturali e dimensioni oniriche e reali, che rappresentano le metafore visive e narrative dell’intera opera.

Dem: L’interesse che ha legato me e Seth Morley è partito principalmente dalle maschere, in particolar modo quella costruita da me e utilizzata per il film, interesse volto non tanto alla loro bellezza estetica, ma al loro significato simbolico, mitologico e sociale. La fascinazione esercitata dalla natura, il suo essere al di sopra di ogni cosa (che ha dato il titolo all’opera) e il confronto sull’esigenza di un riavvicinamento alla terra ha portato ad una collaborazione, partita inizialmente con l’idea di girare un cortometraggio.

Seth Morley: Nel film l’uomo è rappresentato da diversi volti e maschere. La maschera è il volto istintivo e animale che abita nell’uomo e rappresenta la parte più integrata e connessa con le leggi, linguaggi e forze della natura, essenza che ancora ci parla dal profondo, nonostante sia offuscata dall’Io illusorio della mente che ha preso il sopravvento.

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L’uomo e la natura

La dimensione narrativa del film è delineata dai simboli della natura che parla.

Irrompono nel film brevi discorsi di politici o giornalisti, utili a contestualizzare il tempo e lo spazio dell’uomo moderno. La voce narrante, quella della Natura, è una voce atipica rispetto ai canoni imposti dal cinema occidentale: i silenzi, gli echi, gli sguardi squarciati dietro le maschere, le ombre e le forme a tratti paurose, ci parlano, attivando nello spettatore un processo plurisensoriale.

Seth Morley: Raccontiamo la storia di un uomo che divenuto consapevole dello smarrimento e allontanamento dalla propria vera natura incomincia il viaggio di ritorno verso di essa. L’uomo è natura, dunque può solo ritrovare un’armonica integrazione con essa e non continuare nel vano tentativo di fuggirla e soggiogarla.

Dem: Si racconta la natura, attraverso tempi lenti, scanditi dai suoi ritmi che fino a 500 – 600 anni fa erano quelli che determinavano la quotidianità dell’uomo. Ad esempio la scena del volo dell’uccello notturno rievoca gli auguri romani ed etruschi, sacerdoti che servivano a trarre buoni o cattivi auspici dal volo degli uccelli; questa rappresenta l’elemento chiave attraverso cui il personaggio instaura un dialogo con la natura.

Lo spazio urbano

Dem: La dimensione urbana ha perso ogni tipo di fascinazione e le sue forme stranianti sono rappresentate con i suoi capannoni, antenne, ripetitori, cimiteri. I centri commerciali enormi hanno rubato spazio alle forme e ai manufatti dell’uomo, omologandosi in grosse costruzioni che fanno dell’uomo un estraneo. Estraneo alla sua città e alla natura stessa.

Seth Morley: L’uomo deve decidere se continuare a vivere con questo senso di smarrimento o cambiare profondamente, accettando la sua natura, senza accanirsi contro tutto ciò che viene dalla vita e sfugge al suo controllo.

Si assiste così alla presa di coscienza del protagonista o coprotagonista del film della sua totale insofferenza rispetto al vuoto dato dal possesso, dello straniamento totale di fronte ad una quotidianità abortita dal cielo e dalla terra, cristallizzata su logiche fondate sull’estetica, economia, materialismo e consumismi.

Dem: Le logiche dell’urbanizzazione pare abbiano portato a cementificare persino la morte, la vita intera, i cieli – stando agli enormi edifici che ne oscurano la vista. La morte stessa è stata straniata, rinchiusa in cimiteri che assomigliano più a delle Ziggurat, prigioni di cemento e fiori che la esorcizzano.

Seth Morley: Si scappa dalla morte con la convinzione che essa sia la fine della nostra esistenza. Quello che la gente non considera è che la morte non è la fine di tutto, ma la celebrazione della vita stessa: si chiude un ciclo e se ne apre un altro che continua con le stesse qualità del precedente. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Avviene soltanto la cessazione di ogni attività del corpo fisico. Durante il sonno viviamo un’esperienza molto simile alla morte: si abbandona il corpo fisico e si vivono esperienze in un altro “corpo”, anche chiamato “corpo astrale”.

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Il distacco da quelli che un tempo erano i ritmi e i tempi della natura ha portato ad un conseguente allontanamento dell’uomo dai valori della vita. La miseria emotiva in cui versa la vita umana è dovuta a questo distacco, alla perdita dei valori, conoscenze, significati.

Nel film il protagonista, dopo aver avuto dei sogni premonitori e aver decifrato il linguaggio simbolico, matura una consapevolezza esistenziale che lo porta a rifiutare uno stile di vita che rinnega la terra e i suoi sottoboschi spirituali, per abbracciare invece la ricerca delle origini, quelle primordiali radici che lo legano indissolubilmente al cuore pulsante di ogni essere.

Con Supra Natura sembra di assistere ad un antico rito di iniziazione: lo spettatore, insieme al protagonista, ruota intorno al ciclico trittico imposto dalla natura, Nascita, Morte, Rinascita e, sacrificando la parte più malata dell’uomo moderno, si assiste ad una sua rinascita.

Si completa così il ciclo, si ritorna alle origini.

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