WE ARE A LEGION:THE HISTORY OF HACKTIVISTS di Brian Knappenberg (USA, 2012)

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WE ARE LEGION – The History of Hacktivists / Brian Knappenberger | Stati Uniti, 2012, 91′

“Quello che conta è la tua opinione”. È questa la sentenza con la quale Brian Knappenberger ha deciso di chiudere il suo film. Una sentenza che suona come monito e dichiarazione d’intenti, un’appassionata presa di posizione a difesa della più grande tra le libertà: quella di esprimersi.

Una sentenza ancora più significativa se paragonata con quelle che stanno per emettere i tribunali statunitensi nei confronti di un gruppo di hackers appartenenti al movimento Anonymous, di cui We are legion ripercorre storia e ideologia.

Salito alla ribalta delle cronache internazionali nel 2008 per essersela presa duramente contro la chiesa di Scientology, e ancora di più nel 2010 per aver fatto saltare i sistemi informatici di Visa, Mastercard e Paypal, (colpevoli di impedire agli internauti di fare donazioni a Wikileaks, durante i giorni in cui le dichiarazioni di Julien Assange facevano vacillare le diplomazie di mezzo mondo), Anonymous è passato nel giro di un paio di anni dalla sua dimensione di comunità ristretta per geek, nerds e cyber burloni, a movimento di riferimento mondiale per l’attivismo nell’era del web, per la disobbedienza civile 2.0, fino a scendere in piazza con la maschera del Guy Fawkes di V per Vendetta con un bagaglio di simboli e ideali che ne hanno fatto un emblema di rivoluzione.

legion sweet poster

“Anonymous era come un ragazzino grasso con poca autostima che ad un certo punto tira un pugno in faccia a qualcuno e pensa: ‘cazzo sono davvero forte!’” dice uno dei suoi fondatori, e nient’altro può esprimere meglio il concetto.

Hackers, criminali, sabotatori, terroristi: sono stati definiti in tanti modi. Alcuni di loro si divertono a surfare in bilico tra provocazione e illegalità, di altri è stato dimostrato che lavoravano per i servizi segreti, la maggior parte si definisce Hacktivist e non ha mai compiuto altro reato che quello di dare forma e metodo alla dissidenza nell’era del web, dove intasare il server della Sony fino ad impedirne l’accesso (dopo aver scoperto che l’azienda vendeva i dati personali dei suoi clienti), equivale ai picchetti davanti ai cancelli di Mirafiori che i sindacalisti facevano in Italia quarant’anni fa.

Anonymous con tutte le sue filiazioni è stato il braccio tecnologico della primavera araba in Tunisia, ha aiutato gli egiziani a comunicare con twitter quando il governo di Mubarak decise di chiudere totalmente la rete, è stato megafono e amplificatore per tutti gli Occupy degli ultimi due anni, e la portata del suo messaggio travalica ogni definizione per sconfinare nelle regioni del mito, a cavallo tra il caos anarchico di Joker e il romanticismo eroico di Pancho Villa.

Massimo Marini Tiburli