Di Lucia Malerba
Sabato si è conclusa la 65esima edizione del Festival di Berlino. La giuria presieduta dal regista Darren Aronoksky ha assegnato i premi. Il miglior film è prevedibilmente (ma meritatamente) andato a Taxi, del regista iraniano Panahi, a cui è stato fatto divieto di lasciare l’Iran e di girare fim. Difficile non premiarlo, anche solo per il valore simbolico del suo cinema di resistenza alla repressione della libertà di espressione. In un anno come questo, poi.
Noi c’eravamo, a Berlino, ma non vi parleremo di chi ha vinto. Con una rapida ricerca su Google troverete facilmente il palmarès completo e dettagliato; inutile replicarlo qui. Anche perché noi eravamo pochi e i film da vedere tanti (450 quelli presentati quest’anno): questo lascia immaginare quanto sia alta la possibilità di non incappare in nessuno dei film vincitori.
Preferiamo quindi raccontarvi qualcosa di cui non si parla quasi mai. Il lato meno mondano e glamour del Festival, l’altra faccia del tappeto rosso, ciò che non fa parlare di sé ma, lavorando nell’ombra, regge le basi dell’economia cinematografica: l’European Film Market.
Perché bisogna sapere che non è tutto serate mondane, amore per l’arte e paillettes quel che dà sostanza a un evento come la Berlinale, rendendolo un punto di riferimento internazionale per amanti e professionisti del settore. I mercati, presenti in vari festival tra cui Torino, Cannes e, appunto, Berlino, ne sono anzi un pilastro portante.
La prima cosa che viene in mente quando si parla di “mercato” è ovvia: una situazione popolare, rumorosa e colorata, con banchetti pieni, gente che vende e compra, foglie di insalata appassite per terra. Qualcosa com la Vucciria di Palermo. O il Mercato delle erbe di Bologna. Avete presente?
Bene, non siete poi tanto lontani dalla realtà. Pensate a uno di questi mercati, sostituite il pesce esposto sui banchi con brochure patinate, depliant e gadget, la frutta e la verdura con film e documentari; rimpiazzate i venditori che gridano per attirare la vostra attenzione con ambiziosi uomini e donne d’affari. Situate il tutto, invece che in una piazza soleggiata, in un palazzo ottocentesco nel centro di Berlino, a pochi passi da Potsdamer Platz. Signore e signori, ecco a voi il Mercato del Cinema Europeo della Berlinale, uno dei più importanti mercati cinematorgafici a livello internazionale.
La location è quella, elegante e austera, del Martin Gropius Bau: il più importante edificio espositivo di Berlino, costruito nel 1881 in stile neorinascimentale italiano. Un luogo adeguatamente prestigioso per un mercato in cui la merce ha prezzi a più zeri.
La prima impressione che si ha nell’entrare è spiazzante. Superati i controlli e il banchetto informazioni si accede al cuore pulsante del mercato. Davanti ai vostri occhi si apre un elegante cortile interno, due piani di arcate con uno spiazzo al centro, brulicanti di persone che si incontrano, trattano, vendono, comprano, fanno pubbliche relazioni, si scambiano biglietti da visita.
Ogni stand propone la sua merce: film di ogni tipo, dalla commedia ungherese al poliziesco taiwanese. Negli angoli con tavolini e poltrone si discute di possibili accordi. I sellers vendono, disperatamente. I buyers cercano l’affare, il film giusto, quello adatto al loro mercato locale. Un incessante brusio di fondo accompagna il visitatore, gli occhi e la mente sopraffatti da parole in ogni lingua e immagini d’ogni sorta.
Qui ci si viene anche se non si ha nulle di specifico da fare. Si viene perché è importante esserci, per mantenere certi contatti. Si approfitta del momento di ritrovo per fissare appuntamenti o per farsi conoscere. Qui si portano avanti trattative che nascono a Toronto e finiscono a Cannes. E si decidono così le sorti di cosa vedremo in sala, in tv o sulle varie piattaforme. È in questi “mercati generali” che un film prende la propria strada, con la speranza di riuscire a raggiungere prima o poi le sale cinematografiche d’Europa, Asia, America.
La parte del leone la giocano i venditori internazionali. Coloro che acquisiscono i diritti del film dal produttore con la promessa e la speranza di riuscire a rivenderli ai distributori nazionali, i quali a loro volta cercheranno di piazzarli in sala. Una lunga strada che finisce spesso in un vicolo cieco.
In questo vibrante clima d’affari è facile sentirsi piccoli e smarriti. Bisogna stare attenti a non soffermarsi troppo davanti a uno stand o si rischia di trovarsi seduti a un tavolino mentre una rampante australiana cerca di venderti l’ultimo drama-teen-comedy-horror campione d’incassi in Sud Corea.
Quando arriva la sera, dopo tanto fervore, alcuni stand si svuotano e altri si animano in un ultimo guizzo di vita prima della chiusura: i brasiliani offrono mojito, gli svedesi birra e salsiccia affumicata. Mai sottovalutare l’impatto economico e sociale di un aperitivo a scrocco!
Alla fine di una giornata trascorsa all’interno dell’EFM, senza vedere il cielo né lo scorrere delle ore, sembra di essere passati attraverso un tritacarne. Se ne esce annichiliti. Esausti e provati. E si va a cercare rifugio in sala (sperando di riuscire ad entrare) per poi spesso finire, sprofondati nelle comode poltrone del Cinemaxx, a ronfare sonoramente davanti a un qualche documentario malese.