CLERKS-COMMESSI di Kevin Smith (USA, 1994)

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Vero caso cinematografico del 1994, Clerks è un esordio di rara freschezza ed immediatezza. Kevin Smith lo dirige, lo scrive, lo monta, lo produce e vi interpreta persino una parte piccola, ma importante, quella di Silent Bob. Un personaggio divenuto di culto, proprio come questo film grunge, sporco, irriverente, nichilista. Infarcito di dialoghi che non hanno nulla da invidiare a quelli del coevo Tarantino nel suo periodo migliore (Le iene, Pulp Fiction), per realismo, sboccatezza, ironia, riferimenti nerd. Si pensi, tanto per citarne solo uno, al botta e risposta tra Dante e Randal – complementari nella personalità e perciò perfetti come coppia comica – sui film della prima trilogia di Star Wars.

Una colonna sonora a base di ottimo rock indipendente americano (Alice in Chains, Jesus Lizard, tra gli altri). Personaggi sfigati, veri losers, logorroici e nevrotici, che parlano e parlano, senza filtri né pause, senza censure né timidezza. Clerks, pertanto, è un film molto più sonoro che visivo, un ritratto appena abbozzato ma ugualmente efficace della generazione X, in tutto il suo cinico disincanto. Un campionario di tic, manie, modi di dire entrati nell’immaginario collettivo.

La regia di Smith si limita a dirigere, benissimo tra l’altro, gli attori. Il bianco e nero della fotografia più che una scelta da film art house sembra dovuto alla povertà del budget. La maggior parte delle scene sono ambientate davanti al bancone del Quick Stop Groceries, il negozio di alimentari dove lavora il protagonista, Dante, o alla RST Video, il vicino videonoleggio dove, invece, è il commesso Randal a maltrattare i clienti. Oppure, al massimo, qualche metro fuori, per la strada, dove hanno luogo gli esilaranti siparietti tra Silent Bob e Jay, due veri spiantati, senza arte né parte.

Ma nonostante le riprese in esterni siano ridottissime e i movimenti di macchina molto limitati, miracolosamente l’impressione non è affatto quella del teatro filmato. Clerks, infatti, non è un film claustrofilo o asfissiante. Dura solo un’ora e mezza e, forse anche per questo, per il grande ed invisibile lavoro di montaggio, ha ritmo da vendere. La frontalità e la fissità del long take, quando è la scelta di regia preferita, è perfettamente funzionale a far risaltare le dinamiche di confronto/scontro verbale che costituiscono la struttura narrativa stessa del film, suddiviso in sequenze introdotte da titoli sintetici, a suggerirne il tono o la chiave di lettura. Una semplicità didascalica, quasi da film muto, che fa di Clerks un vero distillato di umorismo e comicità politically uncorrect.

Trionfò al Sundance in tempi in cui la sobrietà e la povertà stilistica erano lontane dal divenire una moda e sembravano una boccata d’aria per il cinema americano, bisognoso di un ritorno punk all’essenzialità e appena uscito da un decennio di spettacolarità insistita e ostentata grandeur reaganiana.

Per concludere, una curiosità: tra i ringraziamenti nei titoli di coda Smith inserì, oltre a Dio, mamma e papà, Richard Linklater, Hal Hartley, Spike Lee e Jim Jarmusch “for leading the way”.

 

Francesco Grieco

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